James, William |
W. James (1842-1910) nacque a New York da una famiglia benestante, nella quale regnava un clima assai sollecitante sul piano intellettuale, nutrito di una religiosità anticonformista e di un solido spirito individualistico ma in un'accezione democratica, influenzato dal socialismo utopistico di Ch. Fourier. Un ambiente aperto alla cultura europea e frequentato da noti studiosi americani, quali il filosofo R. Emerson e lo scrittore H. Thoreau: in esso crebbero James e i suoi fratelli, tra i quali Henry, destinato a divenire un romanziere di fama mondiale. Per tre anni (1855-58) il giovane William frequentò gli studi in Inghilterra e in Germania. James soggiornò di nuovo in Europa nel 1867-68, quando già era studente presso la Harvard Medicai School; conobbe così direttamente la psicologia tedesca, utilizzando le sue conoscenze per poi fondare a Harvard (dove si era laureato in medicina nel 1868) il laboratorio di psicologia sperimentale nel 1873. Dopo vari incarichi di insegnamento di Fisiologia e Psicologia, egli ottiene la cattedra di Filosofia che terrà sino al 1907. Nel 1878 si sposa e contemporaneamente inizia i Principi di psicologia che saranno editi nel 1890, seguiti da varie opere di carattere filosofico. Un lavoro intenso e appassionato, arricchito anche da relazioni importanti (tra cui quella con H. Bergson), che procurò a James una rinomanza internazionale, con inviti a convegni e conferenze nelle più importanti università del mondo (fu anche ospite del Congresso degli psicologi italiani nel 1905), e che continuò, nonostante la malferma salute, sino alla morte. Grazie alla famiglia, prima, e alle sue frequentazioni, poi, il pensiero di James ha particolarmente risentito del clima culturale e politico dell'individualismo democratico nel quale si raccoglie l'anima migliore della tradizione americana, erede dell'Illuminismo pratico dei padri della Dichiarazione della Virginia (1789) e del puritanesimo attivo e umanitario della religione dei quaccheri di W. Penn. Un clima che si incentrava, insieme, sul senso del gruppo e su quello dell'individuo e soprattutto sull'impegno nel fare. Si può «fare» costruendo ferrovie, industrie e città, ma anche scrivendo, predicando il Vangelo e impegnandosi in sfide ideali. In questo clima si crea un contesto epistemologico eccitante, vivo, aperto al nuovo, testimoniato da quel Metaphysical Club di Cambridge (che James e il suo amico Ch. Peirce contribuiscono a organizzare attorno al 1870), nel quale convergono alcuni dei migliori ingegni di Harvard nel campo delle scienze umane e sociali. In esso nasce il pragmatismo, del quale Peirce fu il grande teorico sul piano del metodo e che James, facendolo conoscere con la famosa conferenza del 1898 e con il volume del 1907, trasformò in una più ampia prospettiva di vita intellettuale. Ci sono vari punti in comune tra la psicologia di James e il pragmatismo. L'assunto di base di quest'ultimo è che il valore di verità di un'idea è valutabile essenzialmente in base ai suoi effetti pratici. Il controllo della certezza non si trova nella coscienza individuale, dice Peirce, ma nel mondo pratico e sociale. Noi abbiamo credenze, opinioni, convinzioni: ma tali credenze non stanno inerti, per così dire, nella nostra mente. Ogni credenza implica sempre lo stabilirsi di un modo o di un abito d'azione. Quando una persona ha dei «dubbi» su qualche credenza, nasce un'«irritazione» che spinge il pensiero a lavorare allo scopo di ridurla. Il pensiero è ricerca, non mera elaborazione di dati o speculazione pura. La sua funzione essenziale è quella di produrre regole di azione. Quest'ottica ha contribuito a liberare la ricerca dallo scientismo del positivismo e ha allargato la visione del mondo contro ogni forma di deterinismo meccanicistico; nella sua vigorosa ripresa attuale, costituisce ancora una ricca suggestione epistemologica per una psicologia sociale attenta all'agire pratico e ai problemi umani. Un simile punto di vista, non deterministico e antimeccanicistico, sorregge la psicologia che James elabora nei Principi di psicologia, dove, in aperta polemica con la psicologia elementistica e associazionistica del suo tempo, egli mette in rilievo la capacità creativa dell'attività mentale e l'agire costruttivo presente nell'esperienza umana. La mente, afferma James, non può essere studiata dalla psicologia come una struttura a sé stante (come facevano W. Wundt e i suoi allievi), ma deve essere vista nell'ambito specifico della persona, e quindi nel bel mezzo delle sue relazioni concrete. In base a tale punto di vista, l'attività mentale appare decisamente funzionale alle pratiche di vita e quindi all'ambiente: ma non è appiattita su questo (come dicevano i positivisti, specie H. Spencer, e come diranno molti funzio-nalisti dopo James), perché la mente è capace di produrre suoi propri interessi, di scoprire nuovi nessi tra le cose, di elaborare progetti, suggerendo nuove vie all'esperienza. Non si limita a decifrare la realtà (oggi diremmo a «elaborare l'informazione») ma è una protagonista attiva, capace di proiettarsi al di là del «dato». Perciò, essendo connessa con l'azione, contribuisce a creare la realtà stessa, facendo e trasformando il mondo umano in cui viviamo. Per cogliere psicologicamente tale attività, dice James, è necessario studiare la mente «dall'interno». Egli è ben consapevole delle radicali critiche che il positivismo muove all'analisi della soggettività e al metodo introspettivo, e perciò dedica ampio spazio a confutarle. Lo psicologo, come ogni altro scienziato, deve porsi di fronte alla sua materia, con un genuino spirito osservativo, senza negarsi alcun mezzo di analisi, dalla sperimentazione alla clinica e all'introspezione. I fenomeni psicologici, aggiunge James, possono essere sicuramente studiati «dall'esterno» sperimentalmente ed empiricamente, ma questa «analisi microscopica», pur valida per taluni aspetti, ci dice poco sull'attività mentale quale si dà nella nostra esperienza. Questa è da subito cognitiva. Ciò che noi sperimentiamo non è costituito da tante microscopiche sensazioni che poi un qualche meccanismo mentale raggrupperà in unità più ampie, bensì è un mondo organizzato di oggetti e di relazioni: un «pensiero», dice James, spiegando che utilizzerà tale termine per indicare non solo i pensieri in senso stretto, ma quell'insieme di thought and feelings che costituisce la nostra intera vita soggettiva. L'analisi «dall'interno», cui James ha dedicato centinaia di pagine dei Principi, costituisce il versante più innovativo della sua psicologia ed è anche il versante che ha subito maggiori discussioni da parte dell'ottica oggettivistica e sperimentale. Tale analisi, peraltro, è quella che gli ha permesso, tra l'altro, di elaborare quella concezione del Sé che, dopo cinquant'anni di oscuramento, è stata ripresa e approfondita nella seconda metà del '900. James guarda all'insieme della vita psichica in modo soggettivo, ma sempre presupponendo che essa è intrinsecamente connessa con le pratiche concrete di vita. Il pensiero è sempre di qualcuno, e questo qualcuno è una persona che ha un corpo, sentimenti, emozioni, interessi, e così via. Perciò la cognizione, quale James la intende, non è mai «fredda» (come oggi si dice) ma «calda» (è stato lui stesso a utilizzare precisamente questa metafora del calore): cioè orientata da quelle emozioni e da quegli interessi che sempre uniscono alla conoscenza delle cose una valutazione delle cose. L'attività cognitiva è per lui sempre valutativa: il pensiero è «giudicante», cioè compie delle scelte. Queste scelte sono in parte compiute in modo deliberato e ragionato, ma, nel corso concreto dell'esperienza quotidiana, esse sono, in larghissima misura e in modo immediato, effettuate sulla base dei feelings che intessono tutta la nostra attività mentale. Col termine feelings James indica tutto quanto ci deriva dalla sensibilità autonoma e periferica, le emozioni, i sentimenti e l'insieme di sensazioni che noi avvertiamo intorno agli «oggetti pensati»: sensazioni di calore e di freddezza, di unione e di divisione, di accettazione e di rifiuto, e così via. In definitiva, tutto ciò che è soggettivamente «sentito», pur senza avere i connotati di una conoscenza concettuale in senso proprio: elementi psichici che restano spesso ai margini del campo di coscienza, confusi e sfumati, ma tuttavia presenti alla nostra esperienza soggettiva (cioè da noi «conosciuti»), sulla quale lasciano un'impronta profonda. Il sentire è dunque per James una forma di conoscenza: una conoscenza per contatto diretto, che ci fa sapere dell'esistenza e delle qualità immediate delle cose, prima e al di là della conoscenza concettuale vera e propria in senso tradizionale. La conoscenza per contatto diretto è fondamentalmente soggettiva, personale: è essa che contribuisce al senso unitario della nostra esperienza vissuta e a fornirci gli elementi mentali che servono a orientarci concretamente nella vita di relazione. Il concetto di feeling vale essenzialmente a esprimere l'interazione tra la mente e il corpo, quest'ultimo inteso non come semplice substrato dell'attività psichica, bensì come strumento di rapporto conoscitivo con l'ambiente. Proprio sulla base dell'attività somatica egli ha elaborato, primo (e per molto tempo unico) tra gli psicologi, quella «teoria dell'emozione» che, pur superata sul piano neurofisiologico, conserva ancora oggi preziose indicazioni euristiche, di contro a teorie quasi esclusivamente mentalistiche. Il feeling è una specie di ponte tra il corpo e la mente sul piano del vissuto esperienziale, cioè tra la nostra sensibilità somatica e la conoscenza che soggettivamente ne abbiamo. E a questo livello che James può dire che il pensiero è sempre di qualcuno, non solo perché colui che pensa è, in definitiva, un essere corporeo, ma anche perché egli «sa» di essere tale: quando pensiamo, noi sentiamo i nostri «noi corporei» come luogo del pensiero. Il senso di calore/freddezza di cui il feeling è circonfuso sul piano psicosomatico diviene anche, sul piano del pensiero, un senso che unisce/divide, che avvicina/allontana, e così via. Così intesi i feelings svolgono una fondamentale funzione di unificazione, organizzazione e direzione della nostra attività mentale, cioè del nostro pensiero. Questo scorre in una continua corrente, dice James, in cui nulla è mai uguale a quello che è stato e a quello che sarà. Tuttavia la nostra esperienza diretta non ci consegna un mondo spezzettato, come egli ci ha avvisati sin dall'inizio della sua analisi. Questo perché la nostra conoscenza passa sempre attraverso un atto di sintesi: anche un «mondo sconnesso», per essere conosciuto in quanto tale, deve essere colto come una singola unità mediante un atto di sintesi mentale. Una casa è fatta di muri, finestre, porte, tetto, ecc., ma è conosciuta come «casa» attraverso un unico atto psichico. Tale tesi ha dietro di sé I. Kant (dal quale peraltro James si discosterà) e si avvicina a quella che sarà l'ottica della Gestalt. Ma l'oggetto del pensiero di James non è semplicemente quello definito dal dato strutturale-percettivo nel senso della Gestalt. E invece un oggetto che porta con sé tutto il carico che gli deriva dall'insieme della vita soggettiva della persona, cioè delle relazioni mediante le quali i feelings lo collegano ad altri oggetti pensati (cose, eventi, situazioni, persone). I feelings «marchiano» a caldo gli oggetti del pensiero; quest'ultimo valuta questi marchi e raduna insieme gli oggetti che, pur diversissimi, sono contrassegnati dagli stessi feelings, costituendo una «comunità». James usa tale termine per indicare un'unità nella quale il singolo oggetto non perde la sua essenza. In altri termini, la casa del nostro esempio potrà unirsi (se marchiata in un certo modo) con altri oggetti della mia esperienza (il ricordo di una persona, l'immagine di una stanza particolare, la mia aspettativa di una casa futura, o anche di un giardino, ecc.) che contribuiscono a darle per me un senso particolare, mio personale. Questa dinamica diviene particolarmente importante quando le connotazioni di calore che i feelings attribuiscono agli oggetti pensati sono così forti e particolari da farli sentire alla persona come «suoi». In questo caso la comunità nella quale il pensiero li raduna diviene una «comunità di Sé»: e il risultato di questa operazione, dice James, è quello che la persona chiama «Io, me stesso, la mia persona». Il termine self, il Sé, era stato utilizzato duecento anni prima da J. Locke per designare l'identità che deriva alla persona dalla consapevolezza di sé che accompagna ogni atto di sensazione, di ragionamento, di pensiero. E tale autoconsapevolezza che ci fa essere sempre noi stessi (come persona unitaria e uguale) pur in tempi e situazioni diversi. Per James, il Sé non è qualcosa di semplicemente connesso all’autoconsapevolezza: è piuttosto una costruzione che il pensiero compie assemblando quegli «oggetti» della nostra esperienza che, nell'ambito della «vita soggettiva», divengono nostri in forza della rete di feelings che li intesse. James ha sottolineato come non vi sia quasi differenza tra quello che una persona chiama «me» e tutto ciò che definisce come «mio», perché sente e agisce in modo uguale verso entrambi. In realtà, noi potremmo anche dire, proprio in base alla sua analisi, che il «me» è in definitiva composto da tutto quell'universo di «oggetti» che sono sentiti (cioè inseriti nel mondo cognitivo-affettivo personale) come «miei». Oggetti che possono essere di natura diversissima, ma che sono riuniti in una sola comunità da un identico feeling: il mio corpo e le mie caratteristiche e qualità psicologiche, i miei abiti, mia moglie e i miei figli, la mia reputazione, il mio lavoro, il mio giardino e persino, dice James, la mia barca e il mio conto in banca. Egli ha costituito anche una tipologia di tali elementi definendola come Sé materiale, Sé sociale e Sé spirituale. Il Sé sociale assume particolare rilevanza, in questo quadro, perché fondato sulla vita relazionale. In tale contesto ridiviene di specifica attualità teorica, per la psicologia, quel «riconoscimento» che solo A. Smith e Hegel avevano chiamato in causa. Il riconoscimento evoca esplicitamente la presenza dell'Altro e il «giudizio dell'altro» come possibili fonti del nostro «autogiudizio», della nostra autostima, dei nostri sentimenti di emulazione, di invidia, di vergogna e così via. Questi rimandi sono analizzati da James con notevole finezza in relazione non a un individuo generico e indefinito, puramente epistemico (come avverrà in gran parte della ricerca successiva), ma in relazione a «individui in situazione», definiti da specifiche posizioni e ruoli sociali, e collocati in un contesto ove i feelings identitari sono sempre connessi con l'attività sociale concreta. Il mantenimento di sé, la persistenza di un Sé che va consolidato, la proiezione su un Sé possibile in termini concreti o ideali, sono oggetto di un'analisi che ha anticipato largamente (come scriveva G. Allport nel 1961, e come potremmo dire ancora oggi) la ricerca contemporanea, senza cadere nell'oggettivismo e nel meccanicismo che sovente la banalizza. L'idea della «comunità di Sé» è molto realistica: in effetti, ciascuno di noi può sentirsi e agire come un padre, o un figlio, un professore, un automobilista, un medico, una persona caritatevole o una tesa ai propri affari, un tifoso, uno degno d'amore o viceversa, anche nella stessa giornata. Questi diversi Sé possono emergere l'uno in una certa situazione e l'altro in un'altra, possono anche trovarsi in conflitto tra loro, ma il nostro personale senso di unità e di identità permane perché, dice James, essi sono come gli animali di una stessa mandria, «marchiati dall'identico marchio» che serve a riconoscerli e a radunarli. Un marchio che essi hanno sin dall'origine, essendo stati così marchiati dal medesimo unico proprietario. Su questa base il pensiero presente può appropriarsene: anzi, questa appropriazione che il pensiero compie non è tanto a se stesso, quanto alla parte più intimamente sentita del suo soggetto, cioè al corpo. Ritorna costantemente, dunque, il senso fondamentale dell'unità somatico-psichica dell'individuo umano che sorregge l'insieme della psicologia di James. Egli ha qui anticipato quella concezione della psicologia fenomenologica, ben rappresentata tra gli altri da M. Merleau-Ponty (1945), che vede il corpo non solo e non tanto come un oggetto di analisi, nelle sue componenti neurofisiologiche e psicosomatiche, ma come un elemento attivo del nostro rapporto con noi stessi e con il mondo: il corpo, cioè, quale passa nell'esperienza vissuta soggettiva. Così inteso, il corpo può contribuire a costituire il nucleo centrale dell'identità personale, dice James, e questo ci mostra come l'identità possa sussistere anche quando l'attività cognitiva del pensiero non dovesse entrare nel campo della coscienza. Anche questa è una tesi molto attuale, se si considera, come oggi avviene, che una parte dell'attività cognitiva preposta alla costituzione degli schemi di sé può svolgersi per via automatica e quindi inconsapevole. L'analisi della «corrente del pensiero» e del Sé non esaurisce, ovviamente, la materia dei Principi di psicologia, che è amplissima: una vera summa del sapere psicologico dell'epoca, che ebbe un'eccezionale importanza in un momento in cui la disciplina andava ponendo la sua autonomia sia rispetto alla filosofia che alla neurofisiologia. La trattazione di alcuni temi, quali l'attenzione, l'abitudine, l'emozione, servi ad aprire fruttuose strade alla ricerca successiva. L'aspetto innovativo della psicologia di James, rispetto a quella del suo tempo, è costituito dalla sua concezione unitaria, dinamica e funzionale dell'attività mentale. Un'ottica che, mentre si oppone all'elementismo e al meccanicismo, inaugura anche un'analisi basata sui processi e non sui contenuti, e costituisce la piattaforma di quel funzionalismo che, sottolineando la connessione tra l'uomo e l'ambiente, implica una costante attenzione per il contesto sociale nel quale i processi psicologici si attualizzano. Tuttavia la psicologia di James, pur raccolta da studiosi insigni quali Allport, H. Sullivan e altri, non ebbe molta influenza sugli sviluppi di una disciplina che era ormai orientata, sin dalla fine dell'800, verso posizioni decisamente oggettivistiche e verso modelli meccanicistici: modelli che resteranno anche dopo l'avvento del cognitivismo. D'altro canto non è agevole articolare, come James voleva, il punto di vista soggettivistico con il dato neurofisiologico, soprattutto viste le limitazioni delle neuroscienze del suo tempo. James stesso non fu esente da atteggiamenti contraddittori: apri il primo laboratorio di psicologia sperimentale e lo sostenne (chiamando H. Münsterberg, noto allievo di Wundt, a dirigerlo), ma non praticò mai la sperimentazione e mantenne al riguardo molte diffidenze epistemologiche. Pensava alla psicologia come «scienza naturale», ma indirizzò il suo pensiero in direzione opposta. Detto questo, i Principi di psicologia, pur di difficile lettura, mantengono vive molte suggestioni euristiche, come anche oggi constatano coloro che, ritrovando un soggetto attivo al centro delle condotte umane, cercano di non «scorporarlo», per così dire, e di legarne l'attività all'azione pratica e alle pratiche di vita. La psicologia di James nasce in un contesto aperto alla libertà della ricerca, non solo sul piano epistemologico, ma anche su quello più ampio che mette in gioco l'intero essere dell'uomo nel mondo. A questa tematica filosofica James dedicherà varie altre opere. Si può ritenere che allo sviluppo della speculazione filosofica di James (1898; 1909) abbia offerto una base importante la concezione psicologica in precedenza sviluppata di un soggetto attivo colto nell'insieme del suo agire concreto e della sua vita soggettiva. A tale dimensione attiva dell'uomo James ha affidato il «diritto di credere» che l'uomo possiede, la capacità di spingere la propria volontà al di là di ogni determinismo ambientale e di ogni meccanismo mentale. Da qui James può delineare quel disegno di «universo pluralistico» nel quale le idee possono convivere e dispiegarsi per ogni individuo fuori da ogni visione «assolutistica» del mondo e da ogni pretesa di imporre le proprie regole alla conoscenza e alla vita altrui. Una pretesa, come egli diceva, che è causa del massimo numero di ingiustizie e di crudeltà umane. PIERO AMERIO |